Da quando abbiamo aperto il nostro blog ci siamo più volte occupati del tema della lotta alla plastica, cuore verde della nostra mission aziendale. Oggi vogliamo approfondire un aspetto importante della “vicenda”, comunicando alcuni dati sul riciclo che, siamo certi, stupiranno molti tra i nostri lettori.
Raccolta differenziata: dove finiscono i nostri sforzi?
Iniziamo con la buona notizia: in Italia recuperiamo l’80% dei rifiuti prodotti e, in rapporto al resto d’Europa, siamo secondi soltanto alla Germania. A partire dal 2015 abbiamo fatto enormi passi avanti nella differenziazione e nel recupero: + 64% per gli imballaggi in plastica e un risparmio di oltre 2 miliardi in energia ed emissioni di co2.
Anche se la quantità di plastica prodotta e messa in commercio aumenta ogni anno, cresce anche la raccolta e la nostra capacità di riutilizzare lo scarto. Venti bottiglie di plastica possono dare vita ad una trapunta e molta plastica di “nuovo conio” trova collocazione in occhiali, lampade, abbigliamento, cassette per ortaggi, componenti per motoveicoli, ecc.
La pessima notizia è però che il 40% della plastica raccolta in Italia non viene riciclata e finisce in termovalorizzatori e discariche. Insomma, nonostante gli italiani siano diventati molto diligenti nella differenziazione dei rifiuti, questi sforzi sono del tutto vanificati dall’assenza di un sistema reale di economia circolare.
Naturalmente non si tratta solo di un problema nazionale. Secondo Eva Alessi, responsabile Consumi sostenibili e risorse naturali del Wwf Italia: “I mercati secondari della plastica rimangono in gran parte svantaggiosi economicamente e difficilmente riproducibili su larga scala. Per esempio, in Europa quasi metà del materiale raccolto attualmente per il riciclo è perso durante il processo di riciclo stesso“, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) lamenta che nel mondo viene ancora prodotta una quantità di plastica nuova otto volte maggiore rispetto a quella che viene riciclata.
La plastica che ci impegniamo a raccogliere durante l’anno, quindi, finisce incenerita o abbandonata ai bordi delle strade, mentre solo il 15% è reinserita nel sistema economico e conosce una nuova vita.
Il problema è che spesso le aziende, in assenza di incentivi, trovano meno costoso produrre plastica da zero che riutilizzare quella già esistente: un esborso economico che pesa poi, alla fine della filiera, proprio sulle spalle del consumatore.
A questo devono aggiungersi altre difficoltà, come la scarsa qualità della plastica differenziata (non adatta ad essere convertita), l’inadeguatezza degli impianti di riciclaggio e la non corretta differenziazione da parte delle famiglie.
In attesa che i governi agiscano…
Possiamo e vogliamo immaginare un futuro in cui il riciclo degli imballaggi in plastica sarà più soddisfacente ma allo stato delle cose sembra pesi sui singoli cittadini la responsabilità di colmare il gap tra plastica prodotta e plastica riciclata.
L’unica soluzione è quindi, ancora una volta, ridurre drasticamente il ricorso alla plastica monouso, in attesa che le aziende ridefiniscano gli imballaggi nel senso di una loro maggiore durevolezza e riusabilità e che i governi prendano provvedimenti concreti per sostenere l’auto rigenerazione del sistema e la sua ecosostenibilità.
Per ridurre da subito la plastica monouso in circolazione, per esempio, è possibile:
- smettere di acquistare bottiglie d’acqua;
- dotare gli uffici di distributori d’acqua collegati alla rete idrica;
- non utilizzare cannucce di platica;
- acquistare detersivi sfusi;
- preferire pannolini lavabili;
- eliminare i sacchetti della spesa;
- non usare la plastica per conservare gli alimenti.